Italiani d’Altrove
Alfonsina Storni
Nata il 29 maggio 1892 a Sala Capriasca, nel Canton Ticino, Alfonsina Storni emigra con i suoi geni- tori -Alfonso Storni e Paulina Martignoni- in Argentina (San Juan, poi Rosario) quando ha soltanto quattro anni. Alcune importanti riviste (tra le quali “Mundo argentino”) accolgono da molto presto i suoi testi poetici e nel 1916 pubblica la sua prima raccolta: La inquietud del rosal. Due anni più tardi esce El dulce daño, nel 1919 Irremediablemente e, infine, nel 1920, Languidez , che ottiene diversi riconoscimenti internazionali. Frequenta spesso Montevideo, cosa che farà fino alla morte, allacciando amicizia con alcuni scrittori uruguayani come Juana de Ibarbourou e, soprattutto, Hora cio Quiroga, con il quale vivrà un’intensa relazione. Dal 1923 insegna Lettura e Declamazione alla Escuola Normal de Lenguas Vivas. Scrive il dramma El amo del mundo e alcuni racconti. Nel 1925 pubblica la sua quinta, rilevante, raccolta: Ocre, Nel 1926 pubblica Poemas de amor. Più tardi, nel 1934, darà alle stampe il libro di poesia Mundo de siete pozos. Nel 1937 si suicida lo scrittore uruguayano Horacio Quiroga e per lei è un durissimo colpo: scrive un poema dove la morte dell’amico è vista come la sua stessa morte. Nel gennaio 1938 il Ministero dell’Istruzione dell’Uruguay organizza un grande incontro con quelle che vengono considerate le tre poetesse viventi più importanti del continente americano: Juana de Ibarbourou, Alfonsina Storni e Gabriela Mistral. In passato non era mai accaduto che donne scrittrici godessero di una simile considerazione. Nel 1938, un mese prima della morte, pubblica l’ultima raccolta poetica, Mascarilla y trébol. Nell’ottobre 1938, all’età di quarantasei anni, davanti a una malattia che non le lascia speranze e al dolore, che le impedisce di scrivere, muore suicida a La perla, una spiaggia di
Mar del Plata.
Dos Palabras
Esta noche al oído me has dicho dos palabras
comunes. Dos palabras cansadas
de ser dichas. Palabras
que de viejas son nuevas.
Dos palabras tan dulces, que la luna que andaba
filtrando entre las ramas
se detuvo en mi boca. Tan dulces dos palabras
que una hormiga pasea por mi cuello y no intento
moverme para echarla.
Tan dulces dos palabras
que digo sin quererlo -¡oh, qué bella, la vida!-
Tan dulces y tan mansas
que aceites olorosos sobre el cuerpo derraman.
Tan dulces y tan bellas
que nerviosos, mis dedos,
se mueven hacia el cielo imitando tijeras.
Oh, mis dedos quisieran
cortar estrellas.
(de El dulce daño, 1918)
Due Parole
All’orecchio sta notte mi hai detto due parole
comuni. Due parole stanche
di essere dette. Parole
che da vecchie son diventate nuove.
Due parole così dolci, che la luna che passava
filtrando tra i rami
mi si è fermata in bocca. Due parole così dolci
che una formica mi cammina sul collo e io resto immobile
e non provo nemmeno a scacciarla.
Due parole così dolci
che senza volerlo esclamo: oh, che bella, la vita!
Così dolci e mansuete
che scorrono sul mio corpo come oli profumati.
Così dolci e così belle
che nervose, le mie dita,
si sospingono in cielo e diventano forbice.
Vorrebbero le mie dita
ritagliare stelle.
(da Il dolce danno, 1918)
El ensueño
¿Quien es el que amo? No lo sabréis jamás. Me
miraréis a los ojos para descubrirlo y no veréis
más que el fulgor del éxtasis. Yo lo encerraré
para que nunca imaginéis quién es dentro de
mi corazón, y lo meceré allí, silenciosamente,
hora a hora, día a día, año a año. Os daré mis
cantos, pero no os daré su nombre. El vive en
mí como un muerto en su sepulcro, todo mío,
lejos de la curiosidad, de la indiferencia y la
maldad.
(da Poemas de Amor, 1926)
Italiani
Il sogno
Chi è colui che amo? Non lo saprete mai. Mi
guarderete negli occhi per scoprirlo e non vedrete
altro che il fulgore dell'estasi. Io lo rinchiuderò
affinché voi non possiate mai immaginare chi è colui che porto dentro il
cuore, e lì lo cullerò, in silenzio,
ora dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Vi darò i miei canti, ma non vi darò il suo nome. Lui
vive in me come un morto nel suo sepolcro, tutto
mio, lontano dalla curiosità, dall'indifferenza, e
dalla malvagità.
(da Poesie d’amore, 1926)
Paola Cescon
Paola Daniela Cescon è nata a Buenos Aires il 26 febbraio del 1965 da una famiglia di origine friulana. I bisnonni di entrambi i rami provengono da due frazioni del comune di Rivignano, in provincia di Udine. Quelli materni giunsero con il nonno in Argentina nel 1927, mentre la nonna paterna arrivò invece nel 1956. Di tutta la famiglia, il padre è l’unico ad essere tornato a vivere in Italia, ad Ariis di Rivignano, paese natale tanto suo quanto di sua madre. Paola Cescon ha collaborato nella web Mexicana di minifiction “Ficticia” dall’anno 2000 al 2007.Conduce un laboratorio letterario di metodologia virtuale e svolge inoltre la professione di Editor.Il suo lavoro è stato inserito in diverse antologie letterarie, tra queste: La voz viene del pasillo,Mientras limpiamos la Jaula, El placard, e nella silloge bilingue castigliano – tedesco: Poetas deFinisterre, presentata al convegno “Diálogos de cultura”, Austria 2008. Ha co-condotto a Buenos Aires per tre volte il ciclo poetico “Las vacas Sagradas”. Attualmente sta lavorando al suo primo romanzo dal titolo provvisorio “Pan y mortadela”.
Mandi Papà
“Tu vivarâs content
ma il to paîs lontan
ti restarâ tal cûr
cul so biel cjantâ furlan “
Pululan fantasmas
por mis arterias factor B negativo,
melancolía de tano, tanta sed
atragantándose de océanos
con sino de sueños desterrados
sabrá luego
que el dolor no encuentra exilio
por más suya que haga “La América”,
con demente urgencia sembrará raíces
casado con sangre argentina
sangre de tano también sangrante,
tendrá hijos, cuatro,
una, heredaré el llanto
que intentaron silenciar en los baúles
amoroso desvelo inmigrante
traer a los que quedaron,
el tiempo aún gotea en cartas ahora amarillas:
sobre peligrosos indios y en malón
preguntaba mi Nonna en ignorante compás de espera,
suplicando poder desandar horrores
en lejano suelo que prometía futuro
y traer su fortuna empaquetada,
manteles de hilo, bicicleta,
corte de tela para tapadito gris
esta una, intentaré hablar friulano,
“O ce biel cjscjel a Udin”
bailaré antiguas danzas
que enseñará mi madre en Castelmonte
escuela para hijos del destierro,
aunque siempre vestida del macho
que faltaba para formar pareja
dibujarán bigotes al carbón
y para abrigar mi bronca,
esperaré con velo impasible los días de fiesta:
corsé de terciopelo negro
pollera de flores pequeñas
enagua y delantal de encaje
las zapatillas bordadas
un rodete con relleno que peinará mi abuela
comeré polenta dura,
sobre una tabla
la magia transforma esa media esfera
en matemáticas porciones cortadas con hilo,
engulliré cróstoli
pero nunca me gustará el codeguín,
reiré escuchando golpes,
ásperas manotas de tantos tanos
jugando a la bríscola,
y el sonido del bochín preso de la bocha
entonaré inocente canciones alpinas,
no sabré entonces por qué
“el capitán de la compañía
está herido, está por morir”
disfrazaremos con música el pavor
de los sombreros verdes, plumas y escuditos,
no entenderé tampoco el rezo
a la piel negra de su Madonna
ni a su Jesús negro
que revelará el estudio tan Templarios
veré partir a mis hermanas
a nuestras lejanas raíces,
como irónico mandato del destino
devolverán algunos hijos a su Udine
desde acá, solo podré enseñar a los míos
con pandereta imaginaria
a bailar la tarantela
le contaré a mi cría que su Nonno
era monaguillo en la iglesia de Ariís
para acallar el demonio del estómago con hostias,
tatuada en mi memoria la tristeza del racconto:
unos ojos más celestes que su Adriático
burlaban al párroco después de cada misa,
vacío el cáliz, bendita cantidad de feligreses
defenderé a mansalva mi apellido italiano
el castellano discute su terminación sin tilde,
nací argentina con error ortográfico
aunque yo sí aprenda a pronunciar la jota
para que vuelen mis “pacaritos”
de su pena en “caula”
me llamarán “La Tana”,
volcaré legados de dolor, desarraigo, guerra
y tramas por poco palaciegas
totalmente carentes de palacio
en palabras hilvanadas con ó sin rima
melancolía de tanos
escuece la carne
cincelando sombras
entonces
una,
seré poeta.
Mandi, Papà
“Tu vivarâs content
ma il to paîs lontan
ti restarâ tal cûr
cul so biel cjantâ furlan “
Pullulano fantasmi
lungo le mie arterie gruppo B negativo,
malinconia di “tano”*, tanta sete
a ingozzarsi di oceani
nel destino dei sogni deportati
imparerà poi
che il dolore non conosce esilio
per quanto sua si faccia quella “America”,
con urgenti follie seminerà radici
incrociando con sangue argentino
sangue di tano* anch’esso sanguinante,
avrà dei figli, quattro,
Una, riceverà in eredità quel pianto
che intentarono tacitare nei bauli
amorevole insonnia migratoria
richiamare a sé quanti rimasti indietro,
continua a gocciolare il tempo sulle carte ingiallite:
sui pericoli degli indiani, loro antico rituale di battaglia
s’informava mia Nonna nella sua ignara attesa,
pregando di poter cancellare i tanti orrori
in quel lontano suolo che elargiva promesse di futuro
mentre incartava con cura il patrimonio,
tovaglie di lino, bicicletta,
tagli di stoffa per un cappotto grigio
quest’Una, ci proverà a parlare friulano,
“O ce biel cjscjel a Udin”
ballerà le antiche danze
che insegnerà mia madre a Castelmonte,
scuola per i figli dell’esilio,
anche se, costretta spesso al vestito da maschio
per sostituire in coppia quello assente
subirò anche i baffi disegnati a carbone
e per celare la rabbia,
attenderò con un velo impassibile i giorni di festa:
corpetto di velluto nero
gonna seminata a fiorellini
grembiule e sottogonna merlettata
scarpe ricamate
e una crocchia imbottita che comporrà la nonna
mangerò polenta dura,
sul tagliere
la magia trasforma il suo emisfero
in matematiche porzioni tratteggiate dal filo,
mi ingozzerò di crostoli
ma non mi riuscirà di farmi piacere il codeguìn.
e riderò nell’ascoltare i colpi,
quelle manate arcigne di una torma di “tani”
in un giro di briscola,
e il trionfo della boccia nel centrare il boccin.
Intonerò gli innocenti canti degli alpini
senza capire allora perché
“il capitano della compagnia
e’ ferito, e sta per morir”
truccheremo con musica la paura
di quei cappelli verdi, con piume e distintivi,
senza capire nemmeno la preghiera
a quella Madonna della pelle nera
né al suo nero Gesù
che un giorno sveleremo tra i Templari
vedrò partire le mie sorelle
verso le nostre lontane radici,
come un ironico mandato del destino
a restituire a Udine alcuni dei suoi figli
da qui, io non potrò fare altro che insegnare ai miei
a ballare la tarantella
con un tamburello immaginario
racconterò ai miei bimbi di quel Nonno
che faceva il chierichetto nella chiesa di Ariis
per contrastare in ostie il demone della fame,
tristezza di un racconto tatuato nella mia memoria:
quegli occhi celesti alla par del suo adriatico
a giocargliela al prete, con il calice vuoto
a messa finita, tra la calca beata dei parrocchiani
difenderò coi denti il mio cognome italiano
continua a contestare il castigliano quel declinar sonoro
sono nata argentina con errore di ortografia
anche se ho imparato a pronunciare la “Jota”
affinché possano cantare i miei “pacaritos”
la loro pena in “caula”
mi chiameranno Tana
riverserò legami di dolore, di distacchi, di guerra
di trame appena cortigiane
sprovviste da sempre di qualsiasi corte
in parole imbastite in rima e non
malinconia di tanos
percuote la carne
cesellando ombre
allora,
una,
sarò poeta.
*Tano è il nomignolo affettuoso sotto il quale si accomunano
gli italiani nel Rio de la Plata.
Mal dicciones
“Soy feliz
soy un hombre feliz
y quiero que me perdonen
en este día
los muertos de mi felicidad.”
Silvio Rodríguez
“Mondo porco”
rumiaba pápa todo el tiempo
mientras dejó escapar, espesa,
en cada insulto
la amargura del alma por la boca,
y a mí me despintaba la infancia
imaginar qué tan porco
podía llegar a ser el mundo
crecí con miedo a los monstruos
que emigraron indelebles en su equipaje
sólo más grade pude, porque supe,
contestarme cómo podían caber
en la tan pequeña valija
su padre, un nonno Vítor que improvisó
para evadir preguntas
y dejó de ser creíble cuando descubrimos
que nuestro apellido era el mismo que tenía mi abuela,
una hermana fruto de violación de guerra,
una infancia y juventud perdidas
entre alambiques caseros para fabricar la grappa
que tantas veces serviría
para cambiar a los soldados alemanes
por un mísero pedazo de pan o la virtud de su madre
sí, su “Mondo porco”, que no fue nuestro,
enturbió lo límpido de esta amorosa tierra
que abrigó también con cariño a los suyos,
imposible transitar con el cuerpo habitando
muy distante del Friul en el que dejó
enterrado el cuore,
no supo, acá, cómo disipar el dolor
que lleva aún hoy estampado
en la cicatriz que lo acompaña desde niño en la frente.
Su vida, “pazzia di guerra”, fue una eterna confusión
en la que, vaya espanto para nosotros,
por tanto fantasma que traía en sus hombros
nos confundió, infinidad de veces,
con el enemigo.
Male dizioni
“Soy feliz
soy un hombre feliz
y quiero que me perdonen
en este día
los muertos de mi felicidad.”
Silvio Rodríguez
“Porco mondo”
ruminava mio padre tutto il tempo
mentre scappava, densa, dalla sua bocca
in ogni insulto
l’amarezza dell’anima
e toglieva colore alla mia infanzia
l’immaginare quanto porco
poteva essere in verità quel mondo
sono cresciuta paventando i mostri
che emigrarono insieme a lui, nel suo bagaglio,
e che avrei capito un giorno, quando arrivai
a spiegarmi come fossero riusciti
a entrare in quella piccola valigia,
suo padre, un nonno Vittorio inventato
di sana pianta pur di scansare i quesiti
che smise di essere reale non appena capimmo
che il cognome che portavamo era quello della nonna,
una sorella figlia della violenza in guerra,
l’infanzia e la giovinezza disperse
tra i rustici alambicchi dai quali stillava quella grappa
servita a più riprese
a barattare coi soldati tedeschi
per un tozzo di pane o l’onore della madre
sì, quel suo “Porco mondo”, che non è stato il nostro
infangò la trasparenza di questa calda terra
che accolse con amore i suoi affetti,
questa terra a lui non dato di varcare, così distante
da quel Fiuli in cui ebbe un giorno a sotterrare il cuore,
non seppe, qui, dissipare il dolore
che si porta tuttora appeso al fianco
in quella cicatrice che segnò dall’infanzia la sua fronte
La sua vita, “pazzia di guerra”, eterna confusione
nella quale, ahinoi,
per colpa dei fantasmi che si portava in groppa
prese, non di rado, a scambiarci
per il nemico
Ana Russo
“Vicenzo Russo e nato a Canicatti, provincia di Vío Sicilia, el 23 febbrario del 1874 e Rosa Pignocco a Messina; loro furono i miei nonni paterni. Si sposarono nell’ isola e li nacque mio zio Antonio Russo. Il 14 ottobre 1905, Vicenzo s’imbarco verso l’Argentina secondo il pasaporto rilasciato dalla “Prefettura di Girgenti”. Non ho altri dati del suo arrivo a Rosario, ma per quanto mi e stato riferito, successe sulla hacia di altri immigranti che lo avevano preceduto. Arrivó por Rosa insieme al su bimbo che aveva allora un anno di vita. Una volta stabilisi a Rosario ebbero altri cinque fligli, quattro femine e un maschio, l’ultimo fu mio padre, Victorio Vicente Russo” Intoduzione di “ Il Giocco del Tangram” “Rosa mi lascio il silenzio. Inmigranti dei toni stretti, brontolona e mugugnante, quasi ostile nel recinto del suo dialetto. Ricordo di lei soltanto qualche tratto isolato. Empatica a pelle ma non in narrazione, esclusa dalla comunicazione orale, il suo amore mi arrivava non col dire, ma con il dare dei suoi occhi che creavano alleanze con i miei; la parola era la grande assente. Gli anni che ci separavano erano troppi e lenta si apri la breccia tra il suo mondo fatto di altruita e di nostalgie e el mio(…)” Ana Russo é nata a Rosario, Argentina.Nel 1980 ha ottenuto il “Gran Premio de la Asociación Argentina de Escritores”.Le sue poesía sono state incluse in diverse antologie: Café con letras 1997; Retrato de Poetas en el CD: Voces de Poetas. Nel 2000 e uscito il suo primo libro: “Entre el deseo y el goce” , Edizioni “Poesía di Rosario”; Nel 2006 e risultata finalista nel concorso di poesía promosso dalla Subsecretaria de Cultura del Gobierno de la Provincia de Santa Fe , ottenendo una menzione speciale dalle giuria per la sua opera intitolata “El suave erotismo de las luciérnagas” Ha scritto inoltre: “Animal de lluvia”; “Calendario Azteca”, “ Fuego de Sudestada”, “ Con ciencia de estado” y “Argentinitos off”. Sue poesie sono state inserite in antologie altri, per esempio nel libro “Las 40” Antología de Mujeres Poetas de Santa Fe, coordinato per la poetessa Concepción Bertone, pubblicato nel mese di aprile di 2008 per il “Ministerio de Innovación y Cultura de la Provincia de Santa Fe”, Argentina; anche nella antologia: “Mujeres Poetas del Festival “El país de las Nubes”, “Hechiceras de la Palabra”, Oaxca, México 2009.
Marsa-Ali
(El marsala)
Del libro
El Juego del Tangram)
Ella da un cuenco
mientras yo espero
con paciencia
el rayo de un alcohol
incipiente que bate la mujer
que la mujer apura,
una espuma amarilla
que da una seda rasgada
el sol de su cuchara
un jarabe de Sicilia
que bebo por mi ojo
que pronuncia deseo
y entonces ella da un vino
que se parece a esa isla
de madonnas y azufre.
I
La inmigrante
no se adornaba
sólo se orlaba con jabón y agua de lluvia
nunca vi su cabello suelto
pero sé que ya era ceniza
cuando su paso repetido
domesticaba el habla/
el alba
de mi niñez
juntó en su nuca un laberinto
de horquillas
y nunca más fue otra.
II
Intima de infierno y cielo
hundiendo el pie
entre aldea y santuario.
En el centro de lo cifrado
Italiani d’altrove - 39
está la raza de tus manos
ácidos aires colonizada
alegoría de la duda
ese
tu modo de mirar oblicuo.
III
El dialecto
da esa enorme sombra.
Residencia precaria y lunar
adyacencia forzosa
IV
Metal y residir
en lo interior del habla
donde habitan las quebraduras
persiste
el centro del luto.
V
Urano en Casa IX.
Las constelaciones
estaban debajo de tu paso
debajo del Trópico de Capricornio
nos llevaste
lejos del sol del centro de Occidente
sin Sarajevos funerarias
ni raso púrpura del ‘43
llovediza sangre
que en Sicilia cayente aturdía a tus amados.
A estos patios llegaba un miedo filtrado
y un aire siempre sur vadeaba las cunas.
Qué dibujarías con ese recuerdo bermellón
sobre el rostro de tus hijos
con ademán de triste gloria?
Con un trazo libre de males
habrás exudado el forcejeo
entre renuncia y residencia?
Imitabas a los pájaros dibujando en el aire
y sobre tus ojos
un cardinal de salvataje?
Marsa-Ali
Il marsala
(da Il gioco del Tangram)
Lei porge una ciotola
mentre paziente
attendo
quel raggio d’alcol
incipiente che sbatacchia la donna,
che la donna affretta,
una giallastra schiuma
quasi strappo di seta
il sole nel cucchiaio
quello sciroppo siciliano
che bevo con gli occhi
che azzarda desiderio
mentre lei porge un vino
che assomiglia a quell'isola
di madonne e di zolfo
I
L'immigrante
non si ornava
si lavava soltanto con sapone acqua piovana
mai visti suoi capelli al vento
ma so che erano del colore della cenere
quando il suo passo ripetuto
addomesticava la lingua
all'alba
della mia infanzia
montò nella sua nuca un labirinto
di forcine
e mai è stata un'altra
II
Intima di inferno e di cielo
affonda il piede
tra paese e santuario.
Nel centro di quella cifra
Italiani d’altrove - 41
c'è la razza delle tue mani
Acidi Aires colonizzata
allegoria del dubbio
quel
tuo modo di guardare obliquo.
III
Il dialetto
offre quell'enorme ombra.
Residenza precaria e selenita
adiacenza forzata
IV
Metallo e residenza
in fondo alle parole
dove abitano le fratture
persiste
il centro del lutto.
V
Urano in Casa IX.
Sotto il tuo passo andavano
le costellazioni
sotto il Tropico del Capricorno
ci portasti
lontano dal sole del centro dell'Occidente
senza la funerea Sarajevo
né quel raso color porpora del '43
piovigginoso sangue
che nella tua cadente Sicilia confondeva i tuoi cari.
A questi cortili giungeva una paura filtrata
e un'aria sempre del sud attraversava le culle.
Cosa avresti disegnato con quel tuo ricordo color vermiglio
sul viso dei tuoi figli
col gesto di una triste gloria?
Con un tratto libero dai mali
gocciolasti il tuo cruccio
tra rinuncia e residenza?
Rieccheggiavi gli uccelli disegnando nell'aria
e sui tuoi occhi
un pettirosso di salvataggio?
Sergio Héctor Gioacchini
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia : Viento y azar, 1989; Poemas erráticos, 2001; Poetas de Rosario: Desde la otra orilla, Granada, Spagna, 2004; La frontera en la piel, 2007; Un libro di racconti Mujeres golpeadas, 2008 e due romanzi Simple blues, 2000 e Fermento (2003) Collabora e pubblica in diversi organi di stampa. E’ direttore delle riviste Ciudad Gótica e Fanzín
La forma argentina de vivir
Una mujer siempre es una bendición.
Es difícil atreverse a ser vulgar.
Bailar en una cantina de la Boca
erutar un sándwich de milanesa en la Buena Medida
invitar a tus padres a China Doll.
Veo películas italianas
y río y lloro hasta las lágrimas.
Tengo los pantalones agujereados,
pero mi apellido rebosa alcurnia.
Me gustaría vivir en el atelier
que me mostraron esta mañana
si me alcanzara el dinero para pagarlo.
Mi mujer me sonríe con el estómago vacío.
El tiempo pasa a mi lado y lo saludo.
Somos buenos amigos,
me espera desde hace milenios.
Mi tiempo está enloquecido
y va adelante y en reversa,
alternativamente.
Dos chiquitos que reconozco como propios
me hacen muecas desde la ventana.
Mi mujer me saluda con la mano feliz
cuando por la mañana
salgo a buscar la comida del día.
La maniera argentina di vivere
Una donna è sempre una benedizione.
Difficile azzardare essere volgare.
Ballare in un locale di La Boca
ruttare un panino con la cotoletta alla Buena Medida
invitare i tuoi genitori a China Doll.
Guardo i film italiani
e rido e piango fino alle lacrime .
Giro con i pantaloni buccherellati,
ma il mio cognome trabocca nobiltà.
Mi piacerebbe vivere nell’atelier
che mi fecero vedere stamane
se almeno mi bastassero i soldi per l’affitto.
La mia donna sorride con lo stomaco vuoto.
Il tempo mi passa accanto e lo saluto.
Siamo buoni amici,
mi aspetta da millenni.
Il mio tempo è impazzito
fa avanti indrè
in continuazione.
Due ragazzi che riconosco come miei figli
mi fanno le boccacce alla finestra.
Mia moglie mi saluta con la mano felice
quando al mattino
esco alla ricerca del pasto di giornata.
Brevísimos
Un largo regreso
I
De mis entrañas sale humo azul,
vapor como de tabaco.
Quien bese mi boca, temblará.
II
Sobre el filo de mis brazos
están las fulguraciones, como radiación atómica.
Quien pese mi abrazo, colmará el silencio.
III
Mi cuerpo tiembla por escalofríos,
ráfagas de un viento huracanado.
Quien sepa mi aliento, huirá.
IV
De mis ojos brotan lazos fulgurantes,
terribles llamas de mis muertos sagrados.
Quien mire mis fuegos, será profano.
Brevissimi
Un lungo ritorno
I
Dalle mie viscere esce fumo azzurro,
un vapore come di tabacco.
Chi bacerà la mia bocca, tremerà.
II
Sul filo delle mie braccia
sostano le folgorazioni, come atomiche radiazioni.
Chi peserà il mio abbraccio, riempirà il silenzio.
III
I brividi scuotono il mio corpo,
bufere di un vento burrascoso.
Chi capirà il mio alito, fuggirà.
IV
Dai miei occhi sgorgano lacci folgoranti,
terribili fiamme dei miei morti sacri.
Chi guarderà i miei fuochi sarà profano
Eduardo D’Anna
E’ nato a Rosario, Santa Fe, nel 1948. Suo nonno paterno, originario di Cefalù, Sicilia, emigrò in Argentina nel 1877. E’ poeta, narratore, saggista e drammaturgo. Tra le sue opere, diverse raccolte di poesia : Carne de la flaca, La máquina del tiempo, Historia moral, Due romanzi: La jueza muerta; Nadie cerca o lejos; E un saggio: Capital de nada.
MIGRANTES INTERNOS
Mi abuelo no es tu abuelo.
Tu abuelo vivió en una ciudad, el mío
vivió en el campo. Él vino
de muy lejos y sus recuerdos de infancia
quedaron dentro de él. El tuyo
nos habló de ese campo, de esos arroyos,
y las arboledas que ahora divisamos
al recorrer los caminos, parecen
salidas de lo que él imaginó; y la ciudad
se nutre de sus vacilaciones, de sus aires
de lo que él tuvo que pagar
para vivir aquí. El otro,
también. Pero no habló. Sus
palabras han quedado para siempre
del otro lado de nuestra vida, las
imaginamos: hacemos
el cuento de él, y está
bien, porque se venía
aquí, por cuentos. La tierra,
abierta, húmeda, es una infancia
para nosotros; la ciudad,
una adolescencia deslumbrada;
lo de allá no ha nacido.
Lo contaremos, hijo, cada vez,
un poco distinto.
Migranti interni
Mio nonno non è tuo nonno.
Tuo nonno visse in una città, il mio
viveva in campagna. Arrivò
da molto lontano e i suoi ricordi di infanzia
rimasero alle sue spalle. Il tuo
ci parlò di quella terra, dei suoi fiumi,
delle boscaglie che ancora intravediamo
su certi tratti di strada, sembrano
uscite dalla sua immaginazione, e la città
si nutre delle sue incertezze, della sua aria,
del prezzo che ebbe lui a pagare
per abitare qui. L’altro
pure. Ma lui non parlò. Le sue
parole rimasero per sempre
nell’altra sponda della nostra vita, le
immaginiamo: conformiamo
la sua storia, e facciamo
il giusto, perché è proprio per questo
che si arrivava qui, storie. La terra
aperta, umida, é per noi
l’infanzia; la città,
un’abbagliata adolescenza;
quel che là è stato qui non è ancora nato.
Lo racconteremo, figlio mio, ogni volta
un po’ diverso.
Cementerios
Es el lugar más antiguo del mundo. Más atrás
en el tiempo no hay nada de científico.
Las lápidas informan sobre ciertos
lugares nebulosos, ciertas fechas
de las que no hay confirmación.
Sólo la sangre puede ser interrogada.
Y ella contesta un día cualquier cosa
y cualquier cosa otro: las tormentas
eran distintas, sabían leer.
Quien ha viajado y buscado en remotos
parajes con esos nombres, regresó
decepcionado. No eran ésos
los de la historia de la sangre que, loca,
te dice lo que quiere, lo que se le ocurre:
nacieron, trabajaban, se morían de hambre;
extraño fue que quisieran quedarse.
Fingimos que hay respuestas. Quizás
no sea la sangre, solamente sean
trazas de voluntad que nos sostienen
enfrente a los panteones, antes de huir.
Sí, queremos huir, salvo mi madre
que prepara el encuentro con sus muertos,
con mi padre. A ella ya no le importan
las respuestas. Pues sabe que sabrá
esas respuestas, y no podrá decirlas.
En el silencio que sigue ya se ostentan
reales los trigales, los grandes árboles
del pueblo, adónde ahora desviamos
la mirada. Hay que vivir, hay que ahondar
las distancias infinitas. Respuestas,
no traemos, y es posible que la próxima
vez, seamos menos.
Cimiteri
E’ il luogo più antico del mondo. Nulla
di scientifico alle spalle del tempo.
Le lapidi informano su certe
regioni nebulose, certe date
sulle quali non si trova conferma.
Solo il sangue può essere interrogato.
Ma alcuni giorni lui dice certe cose
che nega il giorno appresso: le tempeste
erano diverse, loro sapevano leggere.
Chi ha viaggiato e cercato quei nomi
in remoti paraggi, tornò
deluso. Non erano questi
quelli della storia del sangue che, impazzito,
ti dice quel che vuole, la prima cosa che gli viene in mente:
nacquero, lavorarono, morivano di fame;
è strano che decidessero di restare .
Facciamo finta di avere delle risposte. Forse
non è il sangue, magari sono soltanto
tracce di volontà quelle che ci sostengono
davanti ai sepolcri, prima della fuga.
Sì, vogliamo fuggire, tranne mia madre
che si prepara all’incontro coi suoi morti,
con mio padre. A lei già non importano
le domande. Perché sa che avrà presto
le risposte, e che non potrà condividerle.
Nel silenzio che segue s’infatuano
di regalità i campi di grano, i grandi alberi
del paese, lì dove ora spostiamo
lo sguardo. Bisogna vivere, bisogna approfondire
le distanze infinite. Risposte
non ne abbiamo, ed è possibile che la prossima
volta, saremo in meno.
Jorge Isaías
"Jorge Isaías è nato nel 1946 a Los Quirquinchos, Santa Fe, Repubblica Argentina. Suo nonno paterno proviene dal Piemonte mentre la nonna paterna è Marchigiana. Da parte di madre sono tutti di origine abruzzese.” Ha pubblicato 30 libri tra prosa e poesia. Tra le sue raccolte poetiche: Oficios de Abdul; Crónica Gringa (da cui sono tratte le poesie qui presenti); Poemas de amor ; Áspero cielo; Donde supura el aire, El vuelo de la abeja. E in prosa: El país de la infancia; La mano sobre el recuerdo; Como un caballo salido del mar; Futboleras, Las más rojas sandías del verano e Almacén Las Colonias, Las Calandrias de Juanele. Ha inoltre curato le edizioni di: “Antología de los mejores cuentos del Litoral”; “Papeles inéditos de José Pedroni” e “Palabras a mi padre y a su digna herramienta”. La sua poesia è stata tradotta in francese, inglese e italiano, e molti dei suoi lavori fanno parte di diverse antologie internazionali. E’ stato insignito di numerosi premi e alcuni dei suoi libri sono stati dichiarati di “Interesse Culturale Nazionale” da parte del Parlamento Argentino e dal Ministero di Educazione e Tecnologia della Nazione.
Deudas
para Rubén Sevlever
Los míos nunca entraron a tallar en las historias.
Destriparon terrones en absolutos junios con heladas,
y dieron hijos con penurias fijas a la dureza de esta tierra.
Hubo arados con gaviotas. Hubo lentas trilladoras
junto a las trenzas rubias de mis tías
y el torso desnudo de tanto cosechero.
El sol del verano hacía fintas mientras tanto en sus cabezas.
Debo el poema. Debo la sangre que no derramé y el sudor
que me he guardado y la pena de ver llegar a mi padre
en un septiembre con sangre sin batallas.
Lo vi llegar herido, con los brazos como rotas alas
pero una furia hecha brasa en las pupilas.
Debo el poema a los colonos comprando el pan en la bolsa
blanca de arpillera. El agrio tabaco en latas de té Tigre.
Las calvas cubiertas con gorras amarillas.
Antes estaba la cocina a leña, el techo de zinc bajo tormentas
del invierno, el café y el mate recibiendo a la mañana.
El cuaderno con estampas era cuadrado y grande
y encerraba al mundo en sus cuarenta páginas.
Después la lluvia de abril complicó todo:
hubo historias que recuerdo y otros amores que me olvido,
sin quererlo. Hubo un tren que me trajo de repente,
arrancándome de cuajo, como fruta verde de diciembre.
Debo aún toda la distancia que me pone cada vez más viejo,
y me entristece.
1976, Primavera
Debiti
per Rubén Sevlever
I miei non arrivano mai a tener banco nella storia.
Frantumarono zolle in perentori inverni con gelate
e offrirono figli alla salda penuria di questa terra.
Ci sono stati aratri con gabbiani. Macchine trebbiatrici
accanto alle bionde trecce delle mie zie
e il torso nudo degli innumerevoli raccoglitori.
Il sole dell’estate si perdeva in finte allora sulle loro teste.
A loro sono debitore della poesia. Del sangue che non versai, del sudore
che ho messo da parte e la pena di vedere tornare mio padre
in un settembre con sangue e senza guerra.
Ferito lo vidi arrivare, con le braccia come ali spezzate
e un braciere di furia nello sguardo.
Devo la poesia ai coloni che comperavano il pane nel sacco
bianco di iuta, all’ aspro tabacco nelle scatole di tè Tigre.
Le teste calve coperte dalle berrette gialle.
Prima c’era il forno a legna, il tetto di lamiera sotto le bufere
dell’inverno, il caffè e il mate ad accogliere il mattino.
Il quaderno con le stampe era quadrato e grosso
e richiudeva il mondo nelle sue quaranta pagine.
Poi venne la pioggia d’aprile ad ingarbugliare tutto:
storie che ricordo e amori che senza volere
dimentico. C’è stato un treno che mi portò via all’improvviso,
strappandomi dalle radici, come un frutto verde a dicembre.
Devo ancora tutta la distanza che mi fa diventare ogni volta più vecchio,
e mi intristisce.
1976 – Primavera
El Viejo Pichi
Hoy me dicen que se ha muerto
–de puro viejo– don Ángel Pichichello.
Tuvo un carro de altas ruedas remendadas
y un par de caballejos orejudos,
patones, verruguientos.
Cierta vez cambió las varas rotas
por dos ramas flamantes de sauce
y en la lluvia de septiembre
le brotaron cientos de bracitos verdes.
Se murió don Pichi. Después de su Calabria,
el vasto mar y sus sesenta años
exhumando recuerdo en esta tierra.
Lo enterraron con su sombrero aludo
y negro, los zapatos que nunca se había puesto
y la más humilde de mis pipas viejas.
1979, Verano
Il vecchio Pichi
Mi dicono che è morto oggi
-da tanto vecchio- don Angel Pichichello.
Ebbe un carro dalle grandi ruote rammendate
e un paio di cavalli orecchiuti,
dalle zampe grosse, verrucose.
Gli sostituì le braccia un giorno
con due fiammanti rami di salice
che germogliarono nella pioggia
di settembre con centinaia di bracetti verdi.
È morto don Pichi. Dopo la sua Calabria,
il vasto mare e i suoi sessant’anni
a esumare ricordi in questa terra.
Lo seppellirono col suo cappello nero
di ala larga, quelle scarpe mai indossate
e la più umile delle mie vecchie pipe.
1979, Estate
María Lanese
“Dati biografici: nonni: 1° guerra mondiale, zii materni: 2° guerra; questo è per me molto importante perché l’intera mia infanzia è stata segnata dai racconti delle due generazioni; certo, allora era una guerra infinita che sembrava non trovare il modo di entrare a fare parte del passato. (Soltanto ora, a distanza di tanti anni, posso parlarne)” Marìa Lanese è nata a Ripalimosani, Campobasso, il 5 luglio del 1945 da una familia contadina originaria di questa città. Il nonno materno emigrò nel 1924 a Rosario, Argentina. Rimasto vedovo si risposò con Margherita Pacci, figlia di calabresi. Nel 1949 i suoi genitori, Benjamin Lanese y Elena Paglia, emigrarono a Rosario, Argentina Laureatasi in Psicologia esercita la sua professione di Psicoanalista nella stessa città. Si dedica inoltre a interpretare canzoni popolari non soltanto in teatri ma anche in spazi e situazioni non convenzionali. Ha pubblicato du libri di poesia: Sonidos Graves, 2006 e Mariposas en la lengua, 2008. In questo momento è Coordinatrice della Regione Centro-Sud del Ministero dell’Innovazione e della Cultura della Provincia di Santa Fe.
Sol Mayor
Y dejaban atrás...
cacerolas de cobre
aceites de oliva...olivos
la sombra de los nogales en verano
infiernos pequeños
de aldea
parientes deseosos de embarcar
campanas de fiesta
tomates al sol
pan y lecho.
Transitaron como hormigas
por un mar de dudas.
Nunca fue tan honda la tristeza
ni tan lejos lo lejos.
Llegaros de a dos
de a uno
de a tres
atravesaron para siempre nuestra lengua.
Se quedaron aquí.
Están entre mis huesos.
de “Sonidos Graves” – 2006
Sol Maggiore
Si lasciavano dietro
casseruole di rame
olio d’oliva… ulivi
l’ombra degli alberi di noce in estate
piccoli inferni
di paese
parenti desiderosi di imbarcare
campane a festa
pomodori al sole
pane e letto.
Transitarono come formiche
lungo un mare di dubbi.
Non fu mai così profonda la tristezza
né tanto lontana la distanza.
Arrivarono di due in due
in uno
in tre
valicarono per sempre la nostra lingua.
Qui rimasero.
Sono tra le mie ossa.
(Da Sonidos graves- 2006)
Ripa
Limo
Sani
Esqueleto hambriento
espesor
en el depósito tortuoso
de mis venas .
Hay razones para que estés allí
que no concibe la razón.
Agitan el torrente
lunarios que crecen
en tachos de hojalata
Sus días se retuercen
enredando acuerdos de familia
con lazos de sangre
que es como decir
sangrientos.
Los huecos de mi corazón
son precipicios donde
cae
cae
cae
y vuelve a trepar
fugaz
a paso de ángel
un niño profético
de vida breve
elegido el primero
para que yo supiera
de una vez
que el amor
es pariente de la muerte.
¡Hay más detrás del muro!
En tu desdén por el abismo
¡qué hay que bajar a ver!
Italiani d’altrove - 105
Pueblo de Dios a la derecha
y los pobres a la izquierda
un mar de lágrimas antiguas
me encauza hacia tus cantos.
¿Y nadie más?
¿Y nada Más?
Bruma
curvaturas
escaleras que descienden
luz nocturna
velando estas alforjas que insisten
tercas
como mulas.
Savia persistente
resistiendo.
Y haber nacido en ese nombre
todavía.
Ripa
Limo
Sani
Scheletro affamato
spessore
nel tortuoso anfratto
delle mie vene.
A spiegare perché sei lì ci sono ragioni
che la ragione sconosce.
Agitano il torrente
lunari che germogliano
in secchi di lamiera
i suoi giorni si contorcono
allacciando accordi di famiglia
con lacci di sangue
che è come dire
sanguinari.
Le stamberghe del mio cuore
sono degli abissi dove
cade
cade
cade
e torna a arrampicarsi
fugace
a passo d’angelo
un profetico bambino
dalla vita breve
scelto il primo
in modo che io sapessi
in un sol colpo
che l’amore
è parente della morte.
C’è altro dietro il muro!
Nel tuo disdegno per l’abisso
che bisogna scendere a guardare!
Italiani d’altrove - 107
Popolo di Dio a destra
e alla sinistra i poveri
un mare di lacrime antiche
mi incammina ai tuoi canti.
E nessun’altro?
E nient’altro?
Bruma
Curvature
scale che scendono
luce notturna
che vegliano queste bisacce
che insistono
cocciute
come muli.
Salvia persistente
che resiste.
Ed essere nato in quel nome
ancora.
Rolando Revagliatti
“Tanti i miei genitori quanto i miei nonni paterni sono nati in Argentina. Dalla parte italiana ho conosciuto soltanto la madre di mia madre, Josefina María Filomena Mugione, nata a Caibano, Napoli. Vissi con lei alcuni anni della mia infanzia, nella città di Buenos Aires. I ricordi legati alla sua presenza sono splendidi. Giocavamo spesso a scopa e facevamo visita non di rado alla zia Floresta, una delle su figlie, che abitava quasi in centro. Mia nonna Josefina, o Josefa, come la chiamavano alcuni, è stata per me sempre e soltanto abuelita. E’ morta quando io stavo per compiere dodici anni. Lei ne aveva allora 70. (…) Rolando Revagliatti è, oltre che scrittore e poeta, anche attore e regista teatrale. A partire del 1999 ha curato diversi Cicli di Poesia. Il suo lavoro è stato inserito in numerose antologie di Argentina, Brasile, Cile, Messico e India. Ha pubblicato un volume che riunisce il suo lavoro come drammaturgo: Las piezas de un teatro Due libri di racconti e narrativa: Historietas del amor, Muestra en prosa. E quindici raccolte di poesia: Obras completas en verso hasta acá, De mi mayor estigma [si mal no me equivoco]:, Trompifai, Fundido encadenado, Tomavistas, Picado contrapicado, Ripio, Leo y escribo, Corona de calor, Ardua, Sopita, Del franelero popular, Pictórica, Propaga, Desecho e izquierdo. E’ in uscita in questi giorni la sua prima antologia personale El Revagliastés, nella collana di poesia del poeta Joaquín Giannuzzi.
La tía negra
como que fui el rolandito
para la tía negra
desde mi sobrinismo militante
daba gusto ser precisamente su sobrino
el hijo de su hermana
el primo de sus hijos
no es tan fácil como parece
posicionarse
ser el que se es
el que tocó ser
asumir el azar de la sangre
reconocernos en ese azar
y en esa militancia
La zia negra
Sono stato senz’altro il rolandito
per mia zia negra
da quel mio nipotismo militante
era bello essere precisamente suo nipote
il figlio della sorella
cugino dei cugini
non è così facile come appare
trovare il proprio posto
essere quel che si è
quel che ci è toccato in sorte
assumere l’azzardo del sangue
riconoscersi in questo azzardo
e in quella militanza
La familia
Nadie falta para el fotógrafo
y para sus implementos
Procuraremos ni respirar
en ese instante
Estamos para sus instrucciones
él compone, él manda
Estamos todos, todos
para su perspicacia
En una placa que alcanza
ochenta años
Procuraremos ni pestañear
en ese instante supremo
del fogonazo
Apaisados
habremos de colgar
de una pared, más tarde de otra
colgar y perdurar
Fuimos haciéndonos de nuestras vidas
en el mismo retrato
pasando
posando.
“LA FAMIGLIA” (“La familia”), filme dirigido por Ettore Scola.
La Famiglia*
Non manca nessuno davanti al fotografo
e ai suoi utensili
Cercheremo di non respirare
in quell’istante
Attendiamo le sue istruzioni
lui compone, e comanda
Sottostiamo tutti quanti
alla sua perspicacia
In una lastra che arriva
quasi agli ottanta
Cercheremo di non battere ciglio
nel supremo istante
della folgorazione
Appaesati
penderemo da un muro,
e più tardi da un altro
pendere e perdurare
Così abbiamo ripreso le nostre vite
nello stesso ritratto
passando
posando.
“LA FAMIGLIA”, film diretto da Ettore Scola.
*In italiano nell’originale
Antonia Taleti
“Mio padre giunse in Argentina all’inizio del ventesimo secolo, arrivò per mano a sua madre, una donna forte che in un vecchio baule accatastò un giorno alcuni utensili, una macchina da cucire per poter lavorare e si avviò in Argentina a cercare suo figlio maggiore che s’era ammalato. Il primo legame con l’Italia mi arriva dalla figura di mia nonna, dagli aneddoti che si raccontavano su questa donna caparbia morta quando io ero ancora molto piccola ma che mi lasciò in eredità il suo ricordo e il suo nome: Antonia. Era originaria di Partenna, in provincia di Trapani. Alcuni anni fa sono riuscita a organizzare un viaggio per conoscere il suo paese, e mentre attraversavo lo stretto di Messina sentivo che stavo tornando alla mia terra, come se in un passato fossi stata da lì esiliata. Il secondo legame con l’Italia lo stabilisco a partire dallo studio della lingua e della cultura che mi hanno offerto all’Istituto Dante Alighieri di Rosario, dove ho frequentato la scuola primaria e le medie. Poi, studiando letteratura, mi sono avvicinata ai suoi scrittori. L’ultima sfumatura la devo alla mia madrina, una vezzosa bolognese che si ccupava d’arte, che amava gli animali e le piante e che mi insegnava canzoni come C´era un grillo nel campo di lino…*” Antonia Beatriz Taleti, è nata e vive a Rosario, Repubblica Argentina.Poeta e saggista, è, inoltre, professoressa di Lettere e di Lingüística Attualmente coordina alcune riviste di lettura e scrittura. Ha partecipato a numerosi congressi internazionali e i suoi lavori sono stati editati da diverse università. Ha pubblicato: Itinerarios de lectura; La narrativa de María Elvira Sagarzazu, Rosario, 2003; La voz que nunca alcanzo, Rosario, 2004; Río de paso, Bs. As. 2007.
Del hombre que
me soñó hombre he buscado el pueblo.
Itaca indició el ángel,
desparramada sobre la colina
nadie encontró la marca de orín en la vereda
la última piedra arrojada
o el improbable juguete.
Cuando la ficción enredó las letras
inventó una estirpe
que yo quise griega.
Del encuentro poético remoto y entusiasta
o el desdén
negligente y burocrático que registra
a un tal desconocido
polvorientos renglones darían cuenta de cómo
se menciona a un innombrado
cuando falta el amor o el poder sobra
en mármoles barrocos mudos frente a
la boca de asombro.
Que así lo cuentan cómplices historias
en Partanna.
Dell’uomo che
mi sognò uomo ho cercato il paese.
Itaca indirizzò l’angelo,
rovesciata sulla collina
introvabile quel segno di ruggine sulla banchina
il lancio dell’ultimo sasso
o l’improbabile giocattolo.
Non appena la finzione intrecciò le lettere
inventò una stirpe
che io decisi greca.
Dall’incontro poetico remoto ed entusiasta
o dallo sdegno
burocratico e negligente che registra
un tale sconosciuto
impolverate righe avrebbero reso conto sul come
nominare l’innominabile
quando l’amore manca, quando avanza il potere
su marmi barocchi ammmutoliti di fronte
alla bocca stupita.
Così raccontano complici storie
là a Partanna
Italiano
A Sofía Mascetti.
Demanda pandereta la risa
¡Italiano! ¡Italiano!
La filastrocca ordena
guarda in sú
guarda in giú.
Salto, doy la media vuelta
una vez y otra vez, otra más,
repito órdenes en lengua extraña pero no ajena
dai un baccio a chi vuoi tu
intuyo el futuro busco campanillas y lo celebro. Ella dibuja su recuerdo,
gira inmóvil la tarde,
mi abuela canta en silencio
la bella lavanderita
che lava i fazzoletti
bailo, río
guarda in sú, guarda in giú
ahora salto, hago una reverencia
escapo de los mosaicos verdes
antes de que me atrapen.
Mi abuela sonríe
húmedos los ojos, en la cocina.
Italiano
A Sofía Mascetti.
Reclama tamburelli la risata
Italiano! Italiano!
La filastrocca comanda
guarda in sú
guarda in giú.*
Salto, faccio un mezzo giro
e poi un altro, e un altro, e un altro ancora,
replico ordini in una lingua strana ma non altrui
dai un bacio a chi vuoi tu*
intuisco il futuro ricerco campanelli e lo festeggio. Lei disegna il suo ricordo,
gira immobile il pomeriggio,
la nonna canta in silenzio
la bella lavanderina
che lava i fazzoletti*
ballo, rido
guarda in sú, guarda in giú*
ora salto, faccio un inchino
fuggo dai mosaici verdi
prima che mi acchiappino.
La nonna sorride
con gli occhi umidi, in cucina
*in italiano nell’originale